“Vince Gubbio“. Risponde da sempre così Massimo Boccucci a chi gli chiede chi ha vinto la Festa dei Ceri. Una Corsa che gli fa battere il cuore da sempre, quando praticamente neonato veniva in Umbria da Roma dov’è nato. Presto ha preso il Cero Piccolo e Mezzano di Sant’Ubaldo, è stato Primo Capitano dei Ceri Mezzani quattordicenne, e poi quello Grande da giovanissimo. Ha però voluto cambiare prospettiva da protagonista a cantore, seguendo il suo amore per il giornalismo. Dopo anni e anni di radiocronache e telecronache, il direttore di Infopress oggi segue la Festa dei Ceri per Il Messaggero e il sito che dirige VivoGubbio. In città è un volto noto e in diversi aspettano le sue cronache per rivivere un giorno che a Gubbio resta importante per un anno intero.
Mettiamo che un ufo atterri su Gubbio e un alieno le chieda cosa accade il 15 maggio in città. Cosa risponderebbe?
“C’è la Festa dei Ceri, una festa completamente diverse da tutte le altre. In primis non ha un vincitore, classifiche di merito o premi. E’ un atto di devozione nei confronti di Santo Ubaldo alla vigilia della ricorrenza della sua morte, avvenuta il 16 maggio 1160. Alcuni studi vorrebbero dare alla festa un’interpretazione pagana ma tutto in realtà è legato al patrono. Poi c’è il coinvolgimento della città: anche chi viene da fuori non si ritrova a essere un semplice spettatore. E’ un inno alla spontaneità”.
Quante edizioni ha visto?
“Tante, praticamente da quando sono nato nel 1964. I ricordi sono moltissimi, come il 15 maggio 2005. Facevo la telecronaca per Trg. Dopo aver commentato l’Alzata dei Ceri mi fiondai a Rimini per Rimini-Chieti con i biancorossi che andarono in Serie B. Feci in tempo a vedere il primo tempo e rientrai a Gubbio per la corsa del pomeriggio. Feci 260 chilometri in poche ore e, oltre alle due telecronache, gli articoli sulla Festa e sul Rimini calcio promosso”.
Da cronista come prepara la Festa dei Ceri?
“Non ho mai fatto preparazioni specifiche. Mi è sempre bastato conoscere i nomi dei due Capitani e dei tre Capodieci oltre a verificare la presenza di eventuali ospiti di rilievo. Nella mia carriera ho fatto una ventina di telecronache oltre a radiocronache e alcuni interventi per la Rai e altri organi d’informazione nazionali. Non ho mai voluto tradire la spontaneità del giorno, non ho mai pensato che dovessi raccontare tante storie particolari. Ho sempre cercato di avere vicino a me una persona di cultura come spalla. Era lui ad occuparsi dei riferimenti storici. Nonostante mi onoro di sapere vita, morte e miracoli dei Ceri, io faccio domande che portano a riflessioni e considerazioni. Mi sono sempre ispirato al Palio di Siena condotto in tante edizioni da un grande giornalista come Paolo Frajese“.
A differenza del Palio di Siena però non c’è una gara. Come struttura una telecronaca?
“Semplicemente cavalcando la passione. La corsa è frenesia anche se la gente sa che non ci sarà la classifica. Nel Palio di Siena la mossa occupa molto spazio emotivo. A Gubbio il pathos lo metti sul Cero che deve mantenere la sua posizione senza esitazioni. Io ho preso il Cero e ho vissuto quell’emozione, riesco a immedesimarmi con i ceraioli. Corso Garibaldi è il tratto per eccellenza, ma tutta la corsa è l’andare verso una meta dell’anima. Non è un evento agonistico-sportivo ma dal forte valore simbolico. Quando il Cero si muove, tutti gridano e si sentono partecipi. Non si deve strafare con tante chiacchiere per sciorinare il sapere leggendo storie in qua e in là, non serve. Una delle cose più belle che mi capitava era quando la gente mi fermava e si complimentava per come riuscissi a fare vivere l’evento. Questa la gratificazione che mi porto dentro”.
A proposito di pubblico, quanti vip sono venuti?
“Tantissimi e molti in incognito. Non sono mai mancati ministri, parlamentari, ambasciatori come Ronald Spogli (di origini eugubine, ndr) in Italia degli Stati Uniti durante la presidenza Bush. Ma anche attori, su tutti Terence Hill e Nino Frassica negli anni della fiction Don Matteo. E ancora: il critico Vittorio Sgarbi, il giornalista Oliviero Beha e il fotografo Steve McCurry. Si ritrovavano tutti al rinfresco a Palazzo Pretorio”.
Perché è una corsa così unica?
“Non è una gara, non è una processione ma una festa di popolo. Non c’è competizione ma agonismo. Sant’Ubaldo arriva sempre primo, San Giorgio secondo e Sant’Antonio terzo. Non ha un albo d’oro. Peccato il finale esasperato con l’arrivo in basilica sul monte Ingino per lo strappo della chiusura del portone voluta dai santubaldari che è una forzatura. Proprio nell’atto finale davanti l’urna che custodisce le spoglie incorrotte del patrono fa perdere di vista il vero carattere della festa.”.
Ma se non vince nessuno, perché un turista dovrebbe vederla più anni?
“Vedere delle macchine di legno imponenti correre senza freni dentro la meravigliosa acropoli di Gubbio con i suoi vicoli è impressionante. La storia si fonde con la tradizione. La gente te lo chiede chi vince. Lo spiegavo anche durante la telecronaca: chiederlo è lecito, tu gli rispondi che ha vinto Gubbio. Un popolo che sta appresso a tre pezzi di legno con in cima la statua di altrettanti santi è un qualcosa di magico che ti porta indietro nel tempo. Di moderno nella celebrazione non c’è niente. Un altro momento molto importante è la cosiddetta mostra, quando si rende omaggio ai ceraioli anziani con i Ceri portati a spalla per i quartieri della città”.
L’amore viscerale di un eugubino per i Ceri come lo spiega?
“A Gubbio nasci in una famiglia con papà e mamma che sono ceraioli, così come i parenti e gli amici anche a scuola. In città si parla sempre dei Ceri e a scuola entrano in qualche modo dirompente già un mese prima. I bambini e i ragazzi vengono subito avviati con i Ceri piccoli e la palestra ceraiola continua poi con i Ceri mezzani”.
Senza contrade, come si sceglie il proprio cero?
“A Gubbio te puoi nascere in qualunque quartiere o frazione. Lo scegli per investitura familiare o amicizia sui banchi di scuola o fuori. Ci sono storie come quella dei fratelli Battistelli. Matteo ha seguito le orme di papà Amedeo ed è stato Primo Capodieci del Cero di San Giorgio, Daniele ha ereditato dalla mamma Lauretta Capannelli l’appartenenza a Sant’Antonio di cui è stato Capodieci. Una grande famiglia ceraiola i Battistelli con due anime nell’unica tradizione alla quale è profondamente legata. Io sono nato a Roma e quando venivo a Gubbio trovavo mio zio che mi faceva vestire da Sant’Ubaldo: così ho scelto il mio Cero”.
Quali sono i suoi ricordi più belli legati ai Ceri?
“Nel 1978 a 14 anni sono stato Primo Capitano dei Ceri Mezzani. Ricordo la sveglia dei Capitani, gli amici a casa, gli applausi per le strade della città dove giravo con la spada sguainata, il cavallo Deborah che mi ha fatto diventare matto quel giorno. Avevo già un fisico ben formato e a 15-16 anni ho poi preso il Cero sul Monte. Essendo emotivo, vivevo molto la giornata. A me però piaceva raccontarla, volevo fare il cantore e così ho cambiato ruolo nel vivere la Festa. Nel 2010 invece mi sono emozionato vedendo Andrea Nafissi come Capodieci di San Giorgio. Mi ha ricordato il fratello Franco, mio amico del cuore morto nel 1991 in un incidente di lavoro e che qualche mese dopo (giugno 1991) avrebbe dovuto essere mio essere mio testimone di nozze”.
Ma la Festa dei Ceri si meriterebbe il riconoscimento Unesco?
“La classe politica ha sbagliato tutto. Gubbio si è candidata una volta come città patrimonio dell’Unesco e dopo essere stata respinta ha rinunciato. Per i Ceri ha presentato la propria candidatura tra i beni immateriali. La prima proposta è stata del mio primo direttore Gianfrancesco Chiocci, nelle vesti di consigliere comunale. Il sindaco dell’epoca, Orfeo Goracci, accettò l’idea ma decise di fare una corsa solitaria. Un errore madornale, una scelta scellerata di cui ancora oggi la città paga le conseguenze perché i successori non sono poi riusciti a rimediare commettendo altri errori. L’errore è stato staccarsi dalla Rete delle macchine a spalla che include Viterbo, Palmi, Nola e Sassari, riconosciuta patrimonio dell’Unesco. L’attuale sindaco Filippo Mario Stirati ha provato a entrare nuovamente nella Rete ma ha commesso degli errori e si è bloccato tutto. Credo che i Ceri valgano più di altre feste, con tutto il rispetto. La Festa ha tutti i titoli per essere patrimonio Unesco”.
Come vivrà oggi la festa?
“Da cronista, come da lunghi anni. Vivo appieno il racconto che mi aspetta di fare, immaginando i particolari e le sfumature. Il copione è lo stesso ma la festa sempre diversa. Mi sentirò cronista nell’eugubinità. Non ho punti fissi da cui seguirla”
Diamo dei consigli a chi viene a vedersi la festa?
“Certo, abbigliamento casual e libero. Evitiamo scarpe con i tacchi, è preferibile essere comodi per muoversi. Invito poi a stare a debita distanza dal Cero in corsa. I rischi ci sono anche se non sembra. Basta chiedere alla Rai che nel 1965 vide il proprio pulmino rovesciato perché sul Monte Ingino intralciava la Corsa volendo riprendere in diretta pensando che i Ceri si sarebbero fermati”.